Roma Città Aperta?

OPERATRICI E OPERATORI
SOCIALI
NELLA POP PARADE
NO, NON PENSIAMO CHE SIA QUESTIONE DI SFIGA…
…se siamo costretti a lavorare molte ore al giorno per poche
centinaia di euro al mese…
…ne’ siamo cosi’ “orgogliosi di essere romani”, visto che tante cose da
tempo non funzionano in questa città e, se quest’anno “ha davvero superato
se stessa” come leggiamo su certi cartelloni, siamo convinti che
questo valga soprattutto per la precarieta’ della vita e lo sfruttamento
del lavoro.
Tutti i giorni siamo in movimento in lungo e largo per la citta’ mentre
qualcuno, seduto in un ufficio, guadagna sul nostro lavoro sottraendo
soldi alla collettivita’.
CHI SIAMO?

Siamo operatrici e operatori del sociale, siamo migliaia a far crescere il
pil di Roma e mandare avanti i servizi di pubblica utilita’.
La pop parade e’ l’occasione per incontrarci
e per continuare ad organizzarci: siamo noi precari la ricchezza ed il lavoro altro che un problema da risolvere!
> 28 GIUGNO 2006 <Questo testo nasce dalle narrazioni di operatrici e operatori che hanno confrontato le proprie esperienze di lavoro nel sociale IN REALTA’ DI PROBLEMI DI CUI DISCUTERE CE NE SONO…
Non ci sembra che desiderare di realizzare la propria autonomia,
rimanere incinta, invecchiare o ammalarsi siano questioni di sfi-
ga, ma siano piuttosto evenienze della vita alle quali da sempre e
naturalmente si debba far fronte. E siccome anche lavorando tante
ore al mese, in cooperativa, non si riesce a soddisfare esigenze e desideri, è evidente che i conti nonci tornano: le retribuzioni sono
insufficienti, scarse le opportunità di lavoro e generalmente flessibili,
inoltre l’accesso alla formazione non è alla portata di tutti.
In quanto a diritti e tutele sul lavoro siamo tornati indietro su
tutta la linea, e certamente il nostro obiettivo non è quello di farci
sfruttare a tempo indeterminato! Quando non hai diritti sul lavoro
devi stare attento a gestirti la salute per non perdere giorni di
reddito e anche se hai la malattia garantita, nel privato devi
comunque stare attento a non esagerare perché rischi di farti
buttare fuori. Una malattia può capitare a
chiunque, solo che se ti ammali senza avere un contratto a tempo
determinato non conti nulla, vieni semplicemente rimosso dal
tuo incarico senza avere alcun diritto. Se anche hai il contratto a
tempo determinato, ma sei in una cooperativa sociale, trovarti con
la schiena “rotta” per avere sollevato per anni carichi pesanti ti
mette in condizione di non essere più abile al lavoro e difficilmente
ti verrà garantito lo stipendio trovandoti un’altra mansione.
IL CONTO NON CI TORNA MA SI PRESENTA MOLTO CARO!
E’ facile che alla ricerca di lavoro segua un periodo di collaborazione
con qualche cooperativa del terzo settore, anche senza contratto, a
5.00 euro/ora: il classico “lavoretto”. Si può trattare di assistere i
disabili fisici accompagnandoli in giro con la sedia a rotelle, consentirgli
di utilizzare il bagno del centro che frequentano per qualche
ora a settimana, essere disponibili al dialogo e supportare la famiglia
mantenendo al centro dell’attenzione l’interesse del disabile. Oppure
si tratta di assistere anziani in difficoltà in tutte le cose del
quotidiano, accogliendo i racconti e le angosce di tutta una vita. E’
una fortuna se il pagamento a fine mese è abbastanza regolare. A fine
anno arriva anche il resoconto per la dichiarazione dei redditi. Negli
anni abbiamo visto il passaggio dalle collaborazioni occasionali ai
contratti co.co.co. e così c’erano anche i contributi da versare,
perché l’INPS si era approntato a ricevere una parte dei nostri soldi
(!) creando appositamente per noi la Gestione Separata per i lavoratori
autonomi (ah, già, perché con orario stabilito e attività fisse
eravamo lavoratori autonomi!), ma a parità di paga…Sempre continuando a cercare lavoro, studiare
o facendo concorsi o mandando curriculum, abbiamo dovuto ammettere
che da “collaboratori”, senza che le nostre tasche se ne siano accorte, eravamo diventati “lavoratori”! Il bello è che più o
meno tutte le cooperative o enti o associazioni propongono la stessa
roba e per fortuna che in certi casi gira voce che i pagamenti sono
in arretrato di mesi, così si può  evitare di cascarci… Insomma, è
facile inserirsi e trovare un lavoro, ma alle condizioni che abbiamo
detto e questo anche nel caso di lavori delicati e di responsabilità:
i disabili non sono pacchi da spostare che un giorno possono
essere movimentati da un operaio e il giorno dopo da un altro. Grazie
alla mancanza di alternative spesso siamo noi a rispondere a
questa esigenza di continuità, legandoci alle persone con le quali
lavoriamo e consentendo così alla cooperativa di ottenere di nuovo
l’appalto per gestire servizi dal volto umano (che sarebbe poi la
nostra faccia). Il lavoro educativo con i minori in difficoltà può
durare da pochi mesi a qualche anno, a seconda che la relazione
di aiuto non si avvii affatto oppure duri nel tempo. Non interrompere
il lavoro per tutelare il benessere psichico del minore vuol dire accettare
un lavoro che non ti dà nessuna stabilità e che diventa la tua “missione professionale” per pochi soldi l’ora e per poche ore
la settimana!
GLI OPERATORI E LE OPERATRICI DEL TERZO SETTORE CONTINUANO A
NON CAPIRE PERCHE’ SU OGNI ORA DEL PROPRIO LAVORO QUALCUNO
DEBBA MANGIARCI SU E NON CAPISCONO NEPPURE PERCHE’ QUESTO
DEBBA ESSERE IL MODO PIU’ CONVENIENTE PER GESTIRE I SERVIZI
PUBBLICI!
Ci potete vedere per strada che passeggiamo accanto a un tizio
che magari cammina spedito ma ha lo sguardo stralunato oppure
mentre lo teniamo sottobraccio perché ha difficoltà a spostarsi. Condividiamo con lui caldo e freddo, pioggia e vento, minuto
per minuto. Chi ci ha mandato a lavorare lì guadagna su ogni ora
del nostro lavoro sottopagato. Il comune di Roma e la Regione
Lazio per risparmiare sui costi di gestione hanno appaltato tutti
i servizi pubblici di assistenza. Eppure è strano che ci sia potu-to essere davvero un risparmio perché a quanto ne sappiamo noi
che lavoriamo in cooperativa, ogni struttura si mantiene in piedi
pagando elevati stipendi ai tanti “dirigenti” spesso inquadrati tutti
allo stesso livello, spesso senza sufficienti mansioni da svolgere.
Con gli stessi fondi pubblici destinati ai servizi ogni cooperativa
deve coprire i costi per la gestione del personale e delle buste paga,
per le strutture e, ovviamente, la propria promozione pubblicitaria.
Le strutture accreditate devono avere buoni rapporti con gli esponenti
politici che, determinando gli standard per l’accreditamento
degli enti appaltanti, portano avanti un certo modello di welfare
con il risultato di una spartizione clientelare del mercato dei
servizi.
La cosa più importante è che utilizzando forza lavoro flessibile,
le cooperative riescono a gettare sulle spalle dei cosiddetti “collaboratori”
il loro rischio d’impresa:
riducono i costi del lavoro in quanto a contributi e tutele, i turni di
lavoro saltati (per esempio nel caso di un disguido o di un evento
imprevedibile che impedisca all’utente di usufruire quel giorno
del servizio) non vengono pagati al lavoratore precario, mentre
allo stipendiato si riconosce ugualmente il diritto alla piena
retribuzione, cosa che incide sui profitti della cooperativa. Ultima
tappa nel processo di precarizzazione del lavoro è l’imposizione
dell’apertura della partita Iva, anche continuando a svolgere lo
stesso tipo di attività. Queste nuove forme di lavoro hanno
consentito una vera e propria sanatoria per chi ci sfrutta, costringendoci
a sobbarcarci di tutto il peso, pagando tasse e contributi
su redditi bassissimi, e mettendoci nella condizione di avere solo doveri,
nessun diritto e un livello di ricattabilità che ci stritola.
A partire dalle privatizzazioni è avvenuta una vera e propria moltiplicazione delle spese di gestione e di conseguenza una proliferazione del numero dei quadri dirigenti
all’interno di ogni cooperativa. Ma se anche tale risparmio ci fosse
stato, possiamo almeno dire che non c’è una corrispondenza diretta
tra quanto viene erogato e la entità e la qualità del servizio?
Oltretutto una volta affidato il bando non esistono controlli che
smascherino la realtà del servizio evidenziando il mancato rispetto
degli standard previsti in quanto a: rapporto operatori utenti, percentuali
di personale dipendente e precario, tipo e durata delle
attività (ad esempio certe attività riabilitative convenzionate
vengono dimezzate, per durare mezz’ora anziché un’ora, oppure
vengono svolte in gruppo con la variazione della loro intensività).
Ma non ci sono mai abbastanzas oldi! Così recitano in ogni cooperativa
quando viene sollevato il problema di garantire stipendi
adeguati al costo della vita o corrispondenti alle qualifiche e al
ruolo realmente coperto o per offrire
un livello decente di qualità
nei servizi (laboratori realmente
stimolanti e riabilitativi, materiali,
dispositivi di riabilitazione,
materiali usa e getta ecc).
Ma come si fa a garantire servizi
stabili e affidabili, lavorando nella
più totale incertezza e dovendo
intervenire in situazioni di grave
disgregazione e disagio?
Capita spesso che in cooperativa
proponiamo gratuitamente e attuiamo,
anche, soluzioni migliorative
del servizio, oppure che ci
chiedano di scrivere un progetto e
poi di realizzarlo senza che però
questo appaia: infatti è sempre la
struttura a figurare in una sorta
di fittizia comunione e parità di
condizione. In realtà spesso si
tratta di lavorare nonostante la
cooperativa crea disguidi, limitazioni
o disservizi ed è inevitabile
chiedersi che cosa ci stiano a fare
tanti dirigenti per la sola gestione
della parte burocratica e amministrativa.
Forse ci verranno anche a
dire che stiamo sulla stessa barca
ogni volta che manifestiamo, perché
se migliora la situazione della
cooperativa qualche briciola in più
arriverà anche a noi operatori:
“Andate, andate a battere cassa
al Comune e alla Regione”!
Ma poiché si tratta di soldi pubblici,
allora forse sarebbe giunta
l’ora di farsi due conti e di rivedere
un po’ quel famoso rapporto
di sussidiarietà che il cosiddetto
privato sociale doveva avere nei
confronti del pubblico e che invece
sembra francamente ribaltato.
I fondi pubblici oggi servono a
garantire la sussistenza del Terzo
Settore che svolge attività finalizzate
alla sua stessa sopravvivenza
e prosperità.
TOTO-TITOLI E TOTO-FORMAZIONE
I nostri curriculum sono messi al
lavoro: quando si tratta di presentare
un progetto le cooperative in
molti casi presentano i curriculum
con i titoli più alti, così nella gara
di appalto acquisiscono qualche
punto in più, ma i titolari dei
curriculum o non ne sono nemmeno
informati, o, se ingaggiati,
non vengono comunque pagati
e “inquadrati” secondo le loro
specifiche competenze, ma come
operatori generici. In certi casi,
poi, con la generale penuria di lavoro,
sembra pure che ci facciano
un piacere: non abbiamo proprio il
titolo giusto (inferiore), ma ci tengono
lo stesso e quindi dobbiamo
solo che esser grati!
Per quanto riguarda la formazione,
poi, periodicamente viene inserita
qualche innovazione nella regola-
mentazione della validità dei titoli
professionali o abilitanti al lavoro
sociale e di conseguenza vengono
attivati nuovi corsi di formazione
che divengono obbligatori, anche
per chi svolge le stesse mansioni
da anni. Assistenti domiciliari attivi
nei servizi di assistenza devono
correre a qualificarsi come Operatori
Sociosanitari, sperando di
rientrare nei pochi corsi gratuiti
organizzati da qualche ente ospedaliero
per evitare di sganciare
migliaia di euro per formarsi presso
le stesse cooperative!
Un caso singolare è poi quello
degli operatori di cooperative
sociosanitarie che hanno guadagni
risicati, ma che, operando
in strutture accreditate dalla
regione Lazio, devono rispettare
l’aggiornamento continuo in medicina,
acquisendo annualmente un
tot di punti (proprio come i punti
della spesa al supermercato). Gli
eventi formativi riconosciuti sono
a pagamento e anche molto costosi.
Come è possibile reinvestire
nell’aggiornamento continuo guadagnando
700,00 euro al mese?
TIROCINI E SERVIZIO CIVILE
In molti casi i tirocinanti vengono
sbattuti in turno nei servizi (di assistenza
e animazione) per coprire
le carenze del personale.
Si passa da richieste esplicite di
svolgere alcune mansioni pratiche
a assegnazioni di turni veri e propri.
Questo vale anche per molti
volontari del servizio civile che,
senza alcuna preparazione hanno
preso il posto di operatori precari:
accompagnando gli utenti dal medico
o a fare la spesa e coprendo
addirittura dei turni.
Ovviamente siamo consapevoli
che in generale conta di più la
capacità personale del cosiddetto
“pezzo di carta”, ma possibile
che tutti i volontari impiegati nei
servizi siano molto più svegli dei
precari impiegati, a pagamento,
nelle sostituzioni o nei turni di
lavoro?!?
E POI METTIAMOCI DALLA PARTE DEI FRUITORI DEI SERVIZI:
Possiamo solo immaginare cosa
possa voler dire essere piazzato in
un servizio come un pacco e impegnato
in attività non scelte direttamente,
preso in carico o curato
da operatori in condizioni di disagio
e sfruttamento. Riteniamo
che un servizio debba offrire ben
altro soprattutto se deve garantire
quel potenziale di innovazione che
il privato sociale aveva promesso
al servizio pubblico solitamente
standardizzato.
DUBBI AMOROSI E SONETTI LUSSURIOSI (DIETRO OGNI
ASSOCIAZIONE DI VOLONTARIATO SI NASCONDE…)
Che cos’è il Terzo Settore?
In mezzo ad una marea di definizioni qualche tempo fa è intervenuto
l’Istat che ha fornito una definizione strutturale/operativa: “devono
essere considerate come “no-profit” le organizzazioni che sono formalmente
costituite, hanno natura giuridica privata, si autogovernano, non
possono distribuire i profitti ai soci dirigenti, sono volontarie, nel senso
che l’adesione non è obbligatoria, e perché sono in grado di attirare una
quantità di lavoro gratuito”.
Le organizzazioni del Terzo Settore possono essere di quattro tipi: Il
volontariato organizzato, la cooperazione sociale, l’associazionismo
pro-sociale o sociale, le fondazioni pro-sociali o di utilità sociale.
L’associazione per cui lavoriamo si definisce Associazione Volontari Canili
di Porta Portese. In ogni documento formale, sulle divise da lavoro
che indossiamo ogni giorno, nelle apparizioni in trasmissioni televisive,
negli adesivi e nei manifesti ci troviamo di fronte a questa simpatica
definizione.Ma che cos’è un’associazione di volontariato? Da quale leggi
è disciplinata? Per quanto riguarda le organizzazioni di volontariato
esse sono regolate sul piano normativo dalla legge 266/91 che definisce
attività di volontariato “quella prestata in modo personale, spontaneo
e gratuito, tramite l’organizzazione di cui il volontario fa parte, senza
fini di lucro anche indiretto ed esclusivamente per fini di solidarietà”
(art.2, comma 1).
Viene da pensare, come hanno fatto illustri studiosi (Rossi-Boccaccin),
che il lavoro volontario è basato non su un vincolo contrattuale ma sull’adesione
intima di un progetto da realizzare insieme.
Primo dubbio
Nei canili municipali non esiste un vero e proprio progetto condiviso
da tutti… ma poi da tutti chi? ”i volontari, gli oltre 100 lavoratori tra
“inservienti” (illuminante definizione data da un dirigente del Comune
di Roma che indica il lavoro degli ausiliari), i “pasticcari” (pragmatica
definizione data da un lavoratore appartenente alla categoria dei tera-
pisti), gli amministrativi o il personale addetto alle adozioni?
Ops… Mi ero dimenticato, qualche tempo fa mi è stato consegnato uno
strano foglio di carta con delle tabelle disegnate. Pensavo il mio nuovo
orario di lavoro, una promozione a lavoratore/volontario modello,
macché. Si trattava dell’ ”Organigramma dell’Azienda”, definizione
formulata dal personale di consulenza durante i seminari sulla legge 626
e ripetuta spesso dentro Muratella, da parte di membri del Direttivo o
del gruppo dirigente. Datore di lavoro: il massimo dirigente, al di sotto
il medico competente e il responsabile della sicurezza sul lavoro, poi il
corpo dirigente e infine i preposti e in ultima posizione i lavoratori.
Secondo dubbio
Quindi se incontro un amico per strada e mi domanda: “per chi lavori?”
Cosa devo rispondere?
Ipotesi 1: “Io sono un volontario dei canili comunali, faccio parte dell’associazione
volontari canili di Porta Portese, presto la mia attività in
modo personale, spontaneo e gratuito”
Ipotesi 2: “ Io sono uno dei circa 100 lavoratori subordinati con un contratto
a tempo indeterminato, con applicato il ccnl delle cooperative
sociali, il mio datore di lavoro è un’azienda”
Ipotesi 3: “Io sono uno che non ancora capito che cos’è, ho una crisi esistenziale
che vi esprimo: sono un po’ volontario, presto gratuitamente la
mia attività presso un’associazione animalista (visto che quando va bene
ogni tre mesi ricevo qualche soldo), e un po’ lavoratore visto che sono
impiegato in una azienda che si occupa di canili”.
Terzo dubbio
La carta dei valori del volontariato (predisposta dalla FIVol- Fondazione
italiana per il volontariato), che è stata presentata nel dicembre 2001
a Roma, afferma al punto 13 che: “i volontari sono tenuti a svolgere i
loro compiti con competenza, responsabilità, valorizzazione del lavoro
di equipe e accettazione della verifica costante del proprio operato.
Essi devono garantire nei limiti della propria disponibilità continuità di
impegno”. Adesso capisco perché il mio operato, e quello di tanti altri, è
costantemente verificato; infatti mi arrivano molte lettere da parte dei
volontari responsabili-controllori che mi dicono tante cose divertenti e
fantasiose. Le chiamano “contestazioni disciplinari”. Il dubbio riguarda
il progetto che non ho ancora capito qual’è (quindi non è condiviso da
molti) e la mia attività di volontario che non posso esercitare nei limiti
della mia disponibilità.
Quarto dubbio
Da più parti i miei referenti e tutti gli amici volontari mi dicono che
presto servizio per una Onlus. Ma cosa significa? Una legge del 1997
d.lgs.460 introduce la nozione di Onlus.
Tale concetto non individua una particolare forma organizzativa ma una
“figura fiscale”, che consente a enti di tipo diverso di definirsi “non commerciali”.
E’ una qualifica rilevante solo in termini tributari (in parole
povere per risparmiare sulle tasse).
Quindi le ONLUS sono associazioni, cooperative, fondazioni, istituti
privati, che, oltre a non perseguire scopi di lucro e a destinare completamente
gli utili e gli eventuali avanzi di gestione alle finalità istituzionali,
svolgono tassativamente un’attività di solidarietà sociale. Inoltre
le Onlus si caratterizzano per l’obbligo di predisporre un bilancio e un
rendiconto annuale.
Conclusioni pericolose ovvero nell’incertezza il silenzio aiuta a
vivere meglio
Se non incontro un mio amico per strada, ma un poliziotto di quartiere
in un controllo stradale mi porge la famosa domanda: cosa fai nella
vita…lavori? o meglio che lavoro svolgi? cosa rispondo rispetto al mio
datore di lavoro, il signor ONLUS associazione volontari canili di Porta
Portese. “Io sono un volontario-lavoratore lavoro per una azienda-associazione-
onlus che ha un affidamento di un servizio del comune e che
gestisce annualmente 7 (?) milioni di euro”.
Capite bene cari lettori ovvero cani-lettori, che potrei passare molte
ore in qualche commissariato locale rischiando questa volta in prima
persona qualche “associazione a…” questa volta ben definita, visto il
momento storico.
Dubbi e sonetti lussuriosi si riferiscono ad un sogno fatto… la realtà è
un’altra cosa?
INNOVAZIONE, SPERIMENTAZIONE E QUALITA’
La mia esperienza è stata diversa:nel terzo settore ho avuto finalmente
l’opportunità di esercitarela mia professione di psicologa
insieme ad altri neolaureati, vistche i concorsi pubblici sono quasi
inesistenti ed è una cosa inspiegabilea fronte del fatto che nei
presidi territoriali ci sono ovunqueproblemi di sotto organico che,chissà mai perché nessuno pone.Visto che durante il tirocinio postlauream al servizio pubblico glipsicologi terapeuti si chiudevano
nelle loro stanze segrete asvolgere le loro minimali psicoterapie,
mentre fuori crescevanoliste d’attesa infinite… sono stata
davvero contenta di avere l’opportunità
di lavorare (e quindi diimparare a lavorare) all’interno di
un progetto bellissimo che ho anchecontribuito a costruire: multidimensionale,in ambito scolastico
per l’accoglienza di esigenze chemai sarebbero giunte al servizio
pubblico. L’associazione che haaccettato di presentare il progetto
per ricevere il finanziamento(noi come gruppo di operatori non
avevamo il curriculum e nessuno ciconosceva) era pure di sinistra che
vuoi di più? Anche la retribuzioneoraria era alta (70.000 lire e poi
euro 35,00). Peccato che il Comunedi Roma abbia iniziato a pagare
con circa un anno e mezzo di ritardoil nostro lavoro entusiasta (tutti
continuavamo pure a lavorareda un’altra parte). E peccato che,
una volta sbloccati i pagamenti,l’associazione si tenesse tutti i nostri
soldi per altro tempo ancora finanziandosi le proprie iniziative
più grosse. Questo avveniva perché non “rubava” e quindi non
aveva soldi per finanziare diversamente le sue iniziative di piazza,
ad esempio quando sosteneva lo
schieramento di centrosinistra che poi le avrebbe garantito nuovi
finanziamenti o leggi favorevoli.
Già, ma i nostri soldi ancora ce li devono dare… e quelli del 2003 me
li stanno finendo di pagare solo ora che siamo a giugno 2006, il mese
della POP PARADE! Avevo pensato, dopo essere scappata
dal progetto di denunciarli e procedere per le vie legali, ma rimetterci
anche i soldi dell’avvocato mi rodeva e quindi minacciandoe aspettando, riesco a farmi
arrivare ogni tanto un bonifico di qualche migliaio di euro che mi dà
ossigeno…
ABBIAMO ASPIRAZIONI, ESPERIENZA E CAPACITA’ CHE
VORREMMO SPENDERE NEL SOCIALE, MA FINIAMO In BOCCA ALLE ASSOCIAZIONI E ALLE COOPERATIVE CHE
FAGOCITANO SOLDI PUBBLICI E IL NOSTRO LAVORO
Sì, però ti posso fare l’esempio di
una che conosco che si è messain testa di fare delle cose (tra
l’altro bellissime e innovative) ed ha costituito la sua cooperativa
per questo. Finito il progetto si è trovata a non poter pagare più gli
stipendi né a se stessa né agli altri
con cui lavorava. Già perché solo i grandi enti con
il “gioco delle tre carte” possono
permettersi di sopravvivere in questo sistema clientelare e selvaggio:
oggi l’associazione paga i fornitori che in piazza gli portano
i materiali per l’allestimento che gli permette di farsi bella agli occhi del
sindaco o dell’aspirante assessore.
Domani con quello che gli entra in tasca pagherà i pochi operatori
non volontari (a quelli volontari ha promesso, un domani di entrare in
qualche progetto!) e poi, solo quando riceverà un altro
f i n a n z i a m e n t o , pagherà quei lavoratori che non hanno mai smesso di lavorare all’interno del servizio continuativo.
…E PER QUESTO RIVENDICHIAMO:
– Internalizzazione dei servizi stabilmente erogati
– Stabilità contrattuale e regolarità nel pagamento delle retribuzioni
– Livelli salariali adeguati al costo della vita
– Riconoscimento del valore sociale e del carattere usurante del nostro lavoro
– Formazione continua garantita e gratuita
…e poiché non svolgiamo solo le nostre mansioni, ma compensiamo in prima persona le carenze strutturali dell’organizzazione (facendoci carico di ben altre responsabilità e funzioni organizzative) vogliamo
incontrarci con tutti quelli e quelle che in questa città si riconoscono in una condizione di precarietà per costruire insieme un percorso comune di liberazione e consapevolezza!
www.romaprecaria.org
www.sosprecari.it
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2 Responses to Roma Città Aperta?

  1. zzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzz says:

    zzz

  2. zzzzzzzzzzzzzzzzzzz says:

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