LA CONFUSIONE
SOTTO IL CIELO DELLE POLITICHE SOCIALI
La confusione sotto il cielo delle “politiche sociali” è enorme, si potrebbe concludere: “la rivoluzione è possibile”, come recitava quel giovinastro di Mao-Tse-Tung, ma è fin troppo evidente che non è così. Una rivoluzione….un cambiamento di condizioni oggettive materiali,culturali, sociali è possibile se si ha la consapevolezza delle proprie condizioni qui e ora.
Senza la coscienza della propria “miseria”, senza la coscienza del proprio ruolo, difficilmente si tende a guardare verso altri orizzonti, piuttosto ci si accontenta, ci si adegua, soprattutto se si viene ricattati con contatti capestro, che ricordano più una sentenza di condanna, anche se a tempo determinato, o a progetto, che un insieme di diritti e doveri che regolano un rapporto professionale.
Ricatto, precarietà, condizioni di lavoro inadeguate, sono il terreno su cui quotidianamente si muove l’operaio sociale : assistenti sociali, educatori, animatori, psicologi, alle prese con il prodotto più evidente di questo modello di sviluppo:
il disagio, il malessere sociale…la sfiga!
Non poter produrre cultura “altra”, quella che nasce e si articola nell’incontro e nel confronto con la realtà con cui veniamo quotidianamente in contatto, ma invece subire i contenuti delle “politiche sociali”, quelle che si traducono nei bandi e negli appalti, che diventano nei mandati dei committenti, obiettivi, strategie, modelli prestabiliti e non si capisce da chi, non solo sta svuotando di senso, di significato.
Il lavoro sociale inteso come possibilità e motore di cambiamento, di trasformazione, ma sta omologando il ruolo dell’operatore, chiunque esso sia come figura professionale, in mero esecutore di finalità e obiettivi voluti da altri, avulsi dalla realtà, e non ultimo, controllore, guardiano di fenomeni sociali in contrasto con l’ideologia dominante.
Auto-organizzarsi come operai sociali vuol dire avere la possibilità di costruire un processo di consapevolezza, uno spazio liberato dove elaborare e progettare intorno ai nostri bisogni una diversa condizione di lavoro e di vita.
compagni di calabria dobbiamo relizzare l’impossibile e partendo proprio da li, dove le condizioni son più difficili
Autorganizzarsi,in una realtà come Reggio Calabria dove la stragrande
maggioranza degli operai sociali è sotto l’ala dei confederali,
(Cisl 70% Cgil 30%) è cosa quasi impossibile.
Gli ultimi tentativi di autorganizzazione sono stati fatti circa un
anno fà quando di fronte ad un blocco dei mandati alle coop.da parte
della Regione ci trovammo a non percepire per cinque lunghi mesi il
nostro salario.
Abbiamo fatto tre riunioni; per stabilire i percorsi di lotta da
intraprendere;per l’importanza dell’autorganizzazione,alla fine in
parole povere,siamo partiti in 60,siamo rimasti in 2.
I sindacati(percepiti i malumori degli iscritti), con una “mossa
a sorpresa” riescono a far pagare uno stipendio,facendo passare
a una grossa maggioranza la voglia di autorganizzazione.
In Calabria siamo a pezzi.
SALUTI